LuganoPhotoDays 2018
LuganoPhotoDays
Stefano Ember
VULCANO IJEN : INFERNO O PARADISO?
Nella parte orientale dell’isola di Java si erge il vulcano Ijen, si tratta del più grande cratere dell’Indonesia e del sud-est asiatico. Il vulcano è attivo ed è caratterizzato da un’intensa produzione fumarolica; l’ultima eruzione registrata risale al maggio del 2012 che allertò le popolazioni dei villaggi vicini e decretò la chiusura del vulcano per motivi di sicurezza. Per arrivare all’Ijen bisogna rassegnarsi ad una levataccia alle 3 del mattino e si parte a bordo di una jeep o di un mini bus che accompagnano i visitatori ai piedi del vulcano. Da qui si prosegue a piedi per arrivare, attraverso un sentiero immerso nella foresta, alla bocca del cratere; è un sentiero molto tortuoso e ripido con una pendenza di 20 - 40 gradi e lo si deve percorrere per tre ore e mezza il che mette a dura prova anche un fisico allenato. Durante la salita si incontrano i minatori dello zolfo che salgono o discendono dalla vetta col loro carico. Una volta arrivati alla cima del vulcano le fatiche affrontate sono ricompensate dallo splendido paesaggio che si può ammirare, un’ atmosfera quasi surreale. Ma ciò che colpisce e stupisce di più è la vista del lago sulfureo di color turchese all’interno del cratere, il lago è profondo circa 200 metri ed emette nocive esalazioni di biossido di zolfo, ma a parte questo “inconveniente” il sito è davvero incantevole, più unico che raro, un’ atmosfera quasi paradisiaca per i visitatori. Purtroppo non la pensano così i minatori che lavorano all’interno del cratere in condizioni molto estreme. Ogni giorno alle due del mattino circa 300 uomini, giovani e meno giovani, partono dalla base del vulcano e percorrono il ripido sentiero fino ad arrivare in vetta da qui devono camminare ancora per un altro km lungo una discesa rocciosa, scoscesa e molto stretta per raggiungere le viscere del vulcano dove si trova il punto di raccolta dello zolfo. Questi uomini lavorano a mani nude a temperature molto elevate immersi in fumi tossici che respirano perché non hanno nessuna protezione per il viso e alcuni di loro non sono dotati neanche di scarpe se non che delle fragili infradito. I gas sulfurei che fuoriescono dal lago in breve tempo bruciano i loro polmoni, gli occhi e la pelle danneggiando il loro stato di salute, infatti l’aspettativa di vita di queste persone è molto bassa e in più non sono protetti da eventuali malattie o infortuni. Si fanno fotografare volentieri in cambio di una sigaretta cosa un po’ grottesca visto che i loro polmoni sono abbastanza provati dai gas sulfurei. Molti di questi minatori fanno anche delle piccole creazioni con lo zolfo fuso che vendono ai visitatori soprattutto nella discesa di ritorno dove si fermano per riposare e consumare un frugale pasto. Finita l’estrazione si caricano sulle spalle dai 60 - 80 kili di zolfo e risalgono per il sentiero roccioso per poi arrivare alla base del vulcano dopo altri 3 chilometri e mezzo. Quasi tutti hanno le spalle segnate da profonde cicatrici dovute al carico pesante. Una volta arrivati al campo base venderanno il frutto del loro lavoro per un misero compenso che va, a seconda dei kili raccolti, dai 9 ai 12 franchi, uno stipendio che permette loro di sopravvivere a malapena ma di cui non possono fare a meno. È lecito chiedersi se sia possibile migliorare le condizioni di vita e di lavoro di queste persone.
Testo: Teresa Frongia
Foto: Stefano Ember