Come se fosse

Ho conosciuto Roberta tanti anni fa, tramite amici di amici. Non ci siamo mai frequentate direttamente ma sempre tramite altri e quasi sempre in contesti di musica dove Roberta si esibiva con la sua meravigliosa fisarmonica. A Settembre del 2015, vengo a sapere da un’amica che le è stato diagnosticato un cancro al IV stadio. In occasione del suo ricovero, ospito la sua compagna e così ci incontriamo e cominciamo a parlare.

Il suo modo di reagire al drastico cambiamento di prospettiva mi scuote profondamente e dentro di me risuona immediata la domanda” e se fosse capitato a me, sarei stata sempre così sorridente o non piuttosto mi sarei depressa se non addirittura disperata”? Ovviamente, non so rispondere. A parte un cedimento iniziale, non appena avuta la notizia, Roberta è sempre stata allegra e sorridente. Soprattutto non ha mai smesso di credere di potercela fare. Noi tutti le siamo andati dietro. Era lei a darci coraggio e speranza.

Spinta da questo mio sentire decido di proporle un lavoro fotografico su questo suo difficile percorso. La sua risposta è stata entusiasta, immediata e insieme divertita.

In questo mio dialogare con Roberta il rimando emotivo a me stessa diventa presto urgente ed inevitabile. Raccontare l’imprescindibilità della vita e della morte senza cadere in banali stereotipi è una sfida ardua e continua. Come arduo é il tentativo di cogliere, seppur nel dolore e nella sofferenza del corpo e della mente, guizzi di vitalità. La vita nella morte, la morte nella vita. L’incontro con Roberta pone inevitabilmente la domanda sul senso del nostro essere nel mondo e diventa per me un dialogo interiore con l’imprevedibilità e la precarietà dell’esistenza. E’ un confronto emotivo profondo con la paura della perdita e del vuoto, sentimenti che conosco bene e che diventa una sorta di preparazione personale all’accettazione della morte. Accettare la morte come parte della vita non è cosa facile, come non è facile accettare che il viaggio di Roberta sia giunto al termine, è ora di andare.