LuganoPhotoDays 2016
LuganoPhotoDays
Erberto Zani
HEROES - Acid attack survivors in Bangladesh
In Bangladesh vengono chiamati “mostri” o, nel migliore dei casi, “vittime”.
Loro, però, preferiscono essere definiti “sopravvissuti”.
Per me sono EROI.
Sfigurati con acidi industriali da vicini di casa, parenti o mariti per motivi economici o insensate gelosie, queste persone sono state costrette per anni a vivere ai margini della società, considerate cause stesse della loro sorte, esseri impuri da umiliare e costringere ad una vita nell'ombra.
In Bangladesh, come in altre nazioni (tra cui Cambogia, Colombia, Uganda ed ultimamente anche Italia) queste violenze persistono.
L'utilizzo dell'acido è una scelta consapevole volta non ad uccidere, ma in maniera più subdola mira a cancellare un'identità, a marchiarla per il resto della sua esistenza, costringendo ogni giorno il sopravvissuto a rivivere i tormenti e le umiliazioni subite.
In Bangladesh sfigurare una persona, soprattutto se donna, equivale ad isolarla ancora di più dal resto della società. Non è un caso se, dopo le cure mediche ed il rientro a casa, molte persone scelgono di togliersi la vita.
Il progetto a lungo termine “Heroes”, in collaborazione con Acid Survivors Foundation di Dacca, vuole contribuire a mantenere viva l'attenzione pubblica su questa ignobile forma di violenza.
La scelta di utilizzare il ritratto, non è casuale: l'idea è quella di ribaltare lo scopo di fondo dello sfregio, mostrando i segni della violenza come simbolo del proprio coraggio, un guanto di sfida soprattutto verso una mentalità retrograda che, spaventata dal “diverso”, preferisce schierarsi dalla parte dei carnefici (peraltro spesso impuniti).
Il fondamentale lavoro svolto dagli psicologi e dallo staff dell'Acid Survivor Foundation, attivo dal 1999, ha contribuito a rafforzare l'autostima dei sopravvissuti, un aspetto troppo spesso trascurato a favore del solo intervento di ricostruzione estetica.
Adesso le cicatrici non vengono più nascoste, ma portate con orgoglio e sentite come simbolo di una guerra contro la follia umana. Ad ogni ritratto, realizzato nei remoti villaggi del Bangladesh, corrisponde un'intervista con il racconto dell'attacco e del difficile percorso interiore per riuscire a superare la nuova condizione.